venerdì 25 luglio 2008

"Avevo sete e mi avete dato da bere... " storia di un terreno inatteso

Voglio raccontarvi un po’ la storia di questo terreno, perché è un piccolo esempio della presenza discreta del Signore che lavora insieme con noi (cfr. At. 14,27). Potrei intitolarla così: Tutto cominciò con un bicchiere d’acqua, oppure, sottolineando il rischio che non si è avverato, E se mi fossi perso in un bicchiere d’acqua!? Al di la dei dettagli, l’importante è che questo terreno, sperando di non avere ancora nuovi ostacoli, è il frutto finale di una catena d’amicizia che il Signore (nonostante la mia riluttanza e la mia negligenza) ha tenacemente costruito tra me e il piccolo, trascurato villaggio di Zamodey Tadjo, a quattro Km da Dosso, sulla strada per Gaya.
Il lavoro instancabile del Signore (mai prendere alla lettera i racconti della genesi, soprattutto là dove si dice che il settimo giorno della creazione Dio si è riposato!) iniziò, almeno a mia conoscenza, in un pomeriggio del mese di fine luglio o primi di agosto 2005, anno della carestia in Niger; una delle numerose giornate in cui ero atteso da file di donne che chiedevano aiuti e che sapevo di non poter soddisfare, anche perché fra di esse si infilavano a volte quelle che se ne approfittavano. Mi ero abituato a ripetere come un ritornello che “non avevamo ricevuto ancora nulla da poter distribuire” e che quindi ritornassero la settimana successiva. In questo clima dunque, non ancora pienamente uscito da un sonno appesantito dalla digestione e dal caldo, mi svegliai un po’ più tardi della famosa ‘ora nona’
[1] di Pietro a Jaffa. Appena alzatomi dal letto, aprii la porta della nostra ‘terrazza’, andai in cucina per bere un bicchiere d’acqua con l’intenzione di portarmene un altro da bere più tardi. Non avevo ancora chiuso il rubinetto, che la figlia dei nostri vicini di casa, una bambina di circa nove anni, mi prese il bicchiere tra le mani e usci di corsa.
Reagii stizzito dentro di me e deciso a rimproverarla, ma non ne ebbi il tempo perché uscendo constatai che una vecchia di almeno settanta anni (in Africa sono tanti!) si stava dissetando soddisfatta, mentre la bambina, che aveva fatto accomodare la ‘nonna’ su una seggiola, osservava la scena ancor più soddisfatta, profondamente convinta di aver interpretato l’intenzione del mio cuore: accogliere l’anziana secondo i canoni della vera ospitalità che domanda al più piccolo della casa di portare l’acqua!
Obbligato dunque dai fatti, e vergognandomi un po’ nella mia coscienza, mi sedetti anch’io e cominciai appunto a chiacchierare chiedendo da dove venisse; domandai poi il nome, ovviamente sempre grazie alla traduzione del guardiano. Colpito dal sorriso di questa anziana dal volto solcato dalle rughe e soprattutto dai suoi capelli bianchi ebbi un’intuizione improvvisa: prima di domandarle perché era venuta da noi (domanda abbastanza retorica) le chiesi piuttosto se sapeva chi eravamo noi due bianchi, io e Antonello, e soprattutto se conosceva la ragione per la quale avevamo lasciato il nostro paese per stabilirci in Niger. Ovviamente non conosceva né il nostro nome e tanto meno perché eravamo venuti dall’Italia, salvo forse per realizzare un projet, come tutti sanno dire, anche coloro che non conoscono una parola di francese.
Non troppo meravigliato dalla sua ignoranza, pensai al Kerygma, appunto l’annuncio pasquale di Gesù morto, risorto e anche inviante lo Spirito : nelle numerosissime pentecosti del nostro tempo. Affidandomi allora allo Sprito, anche se con un po’ di scetticismo, le chiesi se avesse mai sentito parlare di Gesù; rispose di no anche se poi dette l’impressione che il nome annabi Issa, come lo chiamano i musulmani, le dicesse qualcosa. Istruito dunque da san Luca le raccontai quello che era successo a Gesù: incominciando dal bene che aveva fatto alla gente, fino alla morte in croce e alla risurrezione.
Rimasi colpito dallo stupore e dalla gioia che sprizzavano dal suo volto man mano che Abdu traduceva. Pure lui fu talmente toccato dalle reazioni di questa anziana da chiedermi a metà colloquio: “Père, perché oggi non andiamo subito ad evangelizzare il villaggio?” Dovetti frenarlo e domandammo finalmente la ragione della sua visita. Ci disse che sua figlia era morta, il marito si era risposato ed era partito sulla costa per cercare lavoro lasciando (capita con una certa frequenza) tre bambini a suo carico, da sfamare. Le diedi quindi qualche misura del miglio rimasto e due mila franchi, come lei stessa mi ha ricordato nei giorni scorsi. Qualche settimana più tardi da Niamey ci arrivarono dei sacchi di cereali donati dalla Caritas Internationalis ed allora ne inviammo un sacco ciascuno alla nostra vecchia e alle altre famiglie aventi a carico bambini orfani.
Per circa due mesi dimenticai un po’ il tutto fino a quando una sera, passai nel villaggio per salutare la vecchia e conoscere i bambini. Al nostro arrivo, ero con Ibrahim il nostro autista, naturalmente fummo attorniati da uno stuolo di bambini e poi anche da un vecchio con la barba che mi presentarono come l’imam del villaggio. Per un attimo temetti che venisse a lamentarsi per aver predicato la morte e la resurrezione di Gesù, ma con mio gran stupore mi fece domandare se non possedevo i Vangeli, Ingila, in arabo, perché lui non conosceva il francese avendo frequentato solo la scuola cranica: voleva conoscere il loro messaggio. Rincuorato e contento gli promisi di portarglielo, ma per circa sei mesi fu lui a ricordarmi la mia promessa ogni volta che lo incontravo per le vie di Dosso. Onorai infine la mia promessa aggiungendo alcune pianticelle di alberi da frutta di cui si presero cura con vera sollecitudine. Ovviamente non so dire quale effetto abbia avuto la lettura dei vangeli e se li abbia veramente letti, ma credo che non si possa negare il fatto principale di cui io sono stato solo il testimone finale: la curiosità nei confronti dei libri che raccontano la vita di Gesù non era indotta da me, ma veniva dal suo cuore, opera dello Spirito!
Nel marzo 2007 scorso sono ritornato di nuovo al villaggio con i membri della parrocchia che avevano accettato di vivere la mattinata di riconciliazione : una tappa importante per sanare i conflitti, manifesti o latenti, all’interno della comunità. In quella occasione alla messa di riconciliazione furono presenti tre abitanti del villaggio, desiderosi di conoscere la nostra preghiera. Da allora i miei contatti si sono limitati ad un pensiero-preghiera della domenica, al mio passaggio di andata e di ritorno da Gaya.
Durante la visita pastorale di mons. Michel, arcivescovo di Niamey, dal 10 al 13 aprile, in un mattino di dormiveglia verso le 5,30 ebbi l’ispirazione di esporre direttamente al capo villaggio la necessità del terreno per il dispensario e chiedergli di aiutarmi a trovarlo: speravo nei buoni rapporti intrattenuti
La mattina di sabato 12 aprile, durante il viaggio verso Gaya parlai con il vescovo che approvò l’idea. La sera prima della messa di martedì 15 andai dunque al villaggio ed accennai qualcosa al capo villaggio. Molto probabilmente, noi in chiesa, con la mediazione di Gesù, loro nella loro piccola moschea e quasi in contemporanea, abbiamo pregato tutti lo stesso Dio, perché facilitasse il nostro incontro: noi nella speranza di poter trovare il terreno, loro reciprocamente affinché la nostra visita tornasse a vantaggio di tutto il villaggio! la sera dopo il direttore della piccola scuola del villaggio mi dirà la loro gioia: al mattino avevano ricevuto banchi nuovi per le due classi e alla sera arrivava l’annuncio di un dispensario e di tutto quello che normalmente la missione cattolica porta con il suo spirito di carità. Quel giorno essi videro, soprattutto nel dispensario, la venuta della benedizione divina! Al termine della nostra riunione, cui parteciparono tutti gli uomini presenti alla moschea, e un gruppetto di donne molto discrete, giovani e anziane, ci dissero che lasciavano a me la scelta del luogo in cui avrei voluto il dispensario e la quantità di terreno necessario! Pensai subito, vista la loro disponibilità, di aggiungere che accanto al dispensario la missione avrebbe potuto in seguito creare anche un complesso scolastico per il quale ebbi la loro totale approvazione.
Dopo mesi, se non anni di attesa sofferta, il Signore ci ha preparato questo regalo.
Oggi ho capito che il Signore della ‘storia’ ha uno sguardo più lungo del nostro. Sulle strade, che noi percorriamo sbadatamente, e sul tempo di cui non abbiamo la chiave, ma che invece vorremmo concentrare nell’immediato del nostro oggi; l’oggi del tutto e subito, il Signore intreccia le sue relazioni, costruisce le sue Parole. La Pentecoste non è affare di una sola mattinata, ma di tante, seguiti da pomeriggi, e anche da notti.

Qualche accenno alla Pasqua (passaggio) di Gesù
Gesù sta vivendo oggi la sua Pasqua, il suo passaggio dalla morte alla gloria; sta cerando di farlo sapere a questi uomini e queste donne che a fatica ne percepiscono la notizia! tenta di apparire e non ha altro mezzo per farlo che quello di farsi precedere dagli araldi. Tutti coloro, noi inclusi, che sono disposti a proclamare la sua pasqua ogni volta che incontrano i cuori che lo Spirito prepara: nell’umiltà e anche un po’ nell’intraprendenza (vedi Filippo e l’eunuco); nella cordialità degli incontri sovente imprevisti.
Io credo che oggi qui in Niger, dove noi ci troviamo, ma ovunque nel mondo, il primo annuncio è atteso. Gesù risorto è presente e cammina davanti a noi, con lo stesso sentimento, la stessa gioia, la stessa urgenza che gli aveva fatto dire alle donne: “andate a annunciare ai miei fratelli di andare in Galilea, è là che mi vedranno!”.
Il ruolo di Gesù non è quello di una mummia, di un personaggio oggetto del passato. Nella ‘sua’ Pasqua, Gesù era apparso tre giorni dopo la sua morte, secondo il tempo vissuto dagli Apostoli, ma nell’istante stesso della sua resurrezione gloriosa, secondo il tempo di Dio, che è oltre tempo. A Zamodey Gesù ha voluto mostrare la sua morte e la sua risurrezione quel giorno in cui per la prima volta l’ho raccontato alla vecchia; e suo fratello dell’imam mi ha chiesto i vangeli in arabo.

Ritornando al terreno…
Io spero che il terreno passi definitivamente alla missione di Dosso. Forse il dispensario nascerà, ma è sicuro che tutto questo è iniziato grazie alla ‘semplicità’ della bambina che mi ha tolto il bicchiere d’acqua; grazie alla sua ‘accoglienza’ che feci mia, pur con qualche resistenza, ricordandomi del perché lo Spirito mi aveva ‘spintonato’ in Niger, come Gesù nel deserto delle tentazioni; grazie all’apertura del cuore di quella vecchia, del suo fratello imam e degli altri, preparati dallo Spirito stesso! Tutte cose che io da solo non sarei mai stato capace di mettere insieme! Che possa il Signore continuare la sua opera : “rafforza o Dio per noi l'opera delle nostre mani, l'opera delle nostre mani rafforza”. (Ps 90)
[1] mi accorgo adesso, e penso che dovrei essere più attento, di questa insistenza del Signore sull’ora della preghiera di Israele: venerdì santo, Pietro e Giovanni vanno al tempio a pregare e incontrano il paralitico…; ma soprattutto Pietro a Jaffa con la sua strana visione della tavola imbandita e gli emissari Cornelio… At. 13 e sicuramente altri che mi sfuggono.

martedì 15 luglio 2008

Due parole sul Niger, il paese più povero del mondo

Innanzitutto vale la pena ricordare che il Niger esiste! Anche durante il convegno a Tabor Hill (Kenya, novembre 2006), la maggior parte di coloro che ci chiedevano dove operiamo, identificava il Niger con la Nigeria.
Il Niger in ogni caso è un grande paese, quattro volte più grande dell’Italia. Tre quarti del territorio (desertico) è abitato da circa due milioni di persone. Nel quarto restante, un po’ più verdeggiante e nel quale si trova la nostra parrocchia, vivono i restanti 11.000.000 abitanti. Dal 2001 la chiesa del Niger è suddivisa in due diocesi (Niamey e Maradi) che però lavorano in grande spirito di collaborazione all’interno della conferenza episcopale Burkina-Niger. Le statistiche ufficiali nazionali dicono che la popolazione è musulmana al 98%, ma probabilmente la percentuale è più bassa, specialmente nella nostra regione ove si trovano ancora villaggi che resistono parzialmente all’islamizzazione. Secondo l’Enciclopedia Islamica (PISAI) si limitava a circa il 50% fino a alla seconda guerra mondiale.Per ironia della sorte, o meglio di Dio, mentre un missionario incominciava l’evangelizzazione dell’est partendo dalla Nigeria, il Signore preparava un altro missionario per l’estremo ovest: Antoine Duramane. Ufficiale dell’esercito francese, si avvicinava negli anni trenta al cappellano militare mentre era di stanza in Algeria. Là riceveva poi il battesimo e iniziava la sua testimonianza in patria con la sua gente: I Songhay. Oggi la chiesa cattolica nigerina, è composta da poco più di 15.000 cattolici, suddivisi in due diocesi; può disporre di circa 50 preti, dei quali solo tre autoctoni. Tutti gli altri appartengono alle due congregazioni missionarie più numerose, Redentoristi e Società missioni africane, a cui si sono affiancati i Padri Bianchi. Queste due ultime tendono a chiudere le loro comunità per invecchiamento del personale. In compenso fortunatamente sono presenti un nutrito numero di fidei donum composto in maggioranza da preti burkinabè, beninois cresciuti e incardinati in Niger, due preti nigeriani Ibo, noi due italiani, io, Domenico Arioli della diocesi di Lodi, insieme a Andrea Tenca, stessa diocesi e praticamente stessa parrocchia di provenienza; per ultimo un giovane prete francese.Alcuni segni di speranzaUna serie di fatti nuovi ci fa pensare e sperare di essere entrati, come dice san Paolo, in un Kayros, un tempo favorevole. Abbiamo spesso l’impressione che il Signore stia da tempo lavorando nei cuori dei fratelli che abitano il Niger, musulmani e non! Alcuni piccoli accenni:Il primo fra tutti riguarda il rapporto con i musulmani. C’è un clima di grande pace e rispetto sia da parte della gente che ci ha accolto sempre con grande simpatia. Ma c’è stima anche da parte dei capi religiosi, sia a livello locale che a livello nazionale! Qui gli esempi sarebbero veramente tanti e mi limito solo a qualche accenno, come quello della presenza dello Djermakoye (re e capo dei musulmani della regione) alla nostra installazione (entrata ufficiale) nella parrocchia, assieme con l’imam della gran moschea; le visite presso di lui che a volte si traducono in veri incontri spirituali.Il secondo concerne il Vescovo di Niamey. Per la prima volta, dopo settantacinque anni di presenza della chiesa cattolica, la notte del 24 dicembre 2004, mons Michel si è trovato pochi minuti prima della messa di mezzanotte la visita a sorpresa del segretario delle associazioni islamiche del Niger: chiedeva di poter porgergli gli auguri per la natività di Gesù. Ovviamente il vescovo era ben contento, ma fu ancora più sorpreso quando questi gli chiese se era possibile porgere gli auguri anche ai fedeli radunati in cattedrale. Fu così che dopo 75 anni in cui solo il vescovo e i missionari inviavano messaggi di vicinanza e di augurio in occasione delle feste musulmane, per la prima volta un loro rappresentante si esprimeva direttamente davanti alla televisione nazionale testimoniando simpatia e solidarietà nella gioia. Da quella sera è cosi a tutte le veglie di Natale e di Pasqua.Molto probabilmente a suscitare questo cambiamento di atteggiamento verso la chiesa aveva contribuito il lavoro indefesso del vescovo per ricucire il dialogo fra maggioranza e opposizione. Si era giunti al blocco totale del dialogo e probabilmente ad un passo da un colpo di stato, tanto facile nella storia del Niger. Il presidente della repubblica aveva chiesto un aiuto ai rappresentanti delle religioni in Niger. Cosi si formò un comitato, dei “testimoni della pace” di cui facevano parte i rappresentanti delle associazioni islamiche, il sultano di Agadez rappresentante dei capi tradizionali e infine il vescovo. Quello che aveva sbloccato la situazione era stato il gesto di umiltà del vescovo verso il capo della opposizione: voleva incontrarlo per un’ultima volta e chiedergli un incontro con i rappresentanti del governo. Questo andare in privato non si addice ad un “capo”, per di più in rappresentanza degli altri capi. Alla fine il vescovo ottenne il loro placet e il dialogo effettivamente riprese; negli incontri, a lui era lasciata la responsabilità della preghiera e della rappresentanza degli altri testimoni della pace.Questo patrimonio di stima da parte della società è ulteriormente aumentato nel corso dell’anno 2005 nel contesto della carestia. Quanto la chiesa ha fatto in tutto il Niger per la distribuzione dei viveri nelle zone più lontane ed abbandonate dalle ONG e dal Governo è stato notato dalle popolazioni e dai responsabili, non solo perché la distribuzione è avvenuta nella trasparenza, ma soprattutto perché è stata l’occasione per un rapporto di prossimità e di sostegno alle popolazioni più toccate.È all’interno di questi interventi che sono nati i primi contatti, la conoscenza, la stima e poi l’amicizia con tanta gente dei villaggi. Dall’intervento per l’aiuto e per lo sviluppo si è passati ad un tipo di contatto che tocca la questione religiosa, la questione della fede. In alcuni villaggi, accanto al granaio in terra battuta, la gente del villaggio ha voluto costruire anche una stanza per il prete. In altri non si è costruita la casa ma ci è stato chiesto insistentemente di restare con loro più giorni per poter parlare! Io non penso che si possa dire che vogliono diventare cristiani, questo no, ma penso che tutto questo riveli un loro forte desiderio di incontrarci e conoscerci nella nostra specificità di cristiani, di discepoli di Gesù. Essi sanno infatti che tutto quello che noi stiamo facendo per loro lo facciamo nel nome di Gesù e spesso si chiedono quale sia la differenza tra il nostro Gesù e il loro; ancora, perché noi diciamo che Gesù è il Figlio di Dio?Ma voglio raccontare soprattutto di un villaggio, piuttosto grande nel quale vive un ufficiale dell’esercito in pensione, ufficiale di un certo livello. Nel mese di ottobre 2005 voleva incontrarmi e presentarmi una lista di persone interessate a entrare nella chiesa. Temendo che si trattasse di un calcolo sull’onda della distribuzione dei viveri io non l’ho mai incontrato durante tutto l’anno. Finalmente ho accettato di incontrarlo nello scorso mese di settembre, insieme con d. Andrea. Siamo stati entrambi colpiti da questo uomo sui sessant’anni che dopo un travaglio spirituale iniziato una ventina di anni fa in seguito a incontri con alcuni cristiani, solitamente protestanti, ha deciso prima di informarsi attraverso la lettura del nuovo testamento; in seguito, ha deciso di lasciare la preghiera alla moschea e rompere, nonostante le obiezioni dei suoi fratelli, e finalmente di entrare nella chiesa per un cammino spirituale. Vedendolo abbandonare la preghiera ufficiale gli amici gli posero via tutta una serie di domande alle quali egli non si sottrasse mai: ora sono un centinaio che insieme con lui hanno dato il loro nome ed hanno voluto incontrarmi nella prima settimana di ottobre. Ci ritroveremo per Natale.Per concludere questo quadro sui segni di speranza aggiungo solo che recentemente un nostro collaboratore, sociologo di formazione, mi spiegava che ciò che maggiormente lo affascina della vita della chiesa è quello che noi chiamiamo la pastorale sociale, ma all’interno soprattutto la testimonianza della vita consacrata nel celibato di noi preti e delle suore. Sono questi aspetti che alimentano in lui il desiderio di farsi cristiano.La necessità di cambiare ritmo nella pastoraleIn seguito a tutte queste novità, stiamo facendo l’esperienza diretta della presenza di Dio e dell’opera dello Spirito. Lui arriva sempre prima di noi, ma ha comunque bisogno che qualcuno si faccia trovare sul posto per dare consistenza alla buona novella. Ci stiamo rendendo conto che dovrà cambiare anche il nostro ritmo di presenza nelle varie comunità. Dovremo dare sempre più spazio alla presenza nei villaggi affinché il primo annuncio possa arrivare e dopo essere stato fatto abbia un seguito. Vi chiediamo innanzitutto una preghiera che anche noi assicuriamo per tutti voi.Conclusioni Concludo con una piccola testimonianza. Nello scorso dicembre, ritornando a casa dopo la messa delle sette del mattino (in questo tempo l’Harmattan tiene in casa la gente in attesa di un po’ di calore solare) due ragazzine del nostro quartiere fermano me e Andrea sul sentiero che porta dalla chiesa a casa nostra: hanno voglia di parlare. La questione di partenza era la festa di fine anno (messa e danze), ma subito dopo è arrivata la seconda: perché Babbo Natale resta da voi e non viene mai da noi con i suoi regali?! Ovviamente la questione ci imbarazzava non poco pensando all’eccesso di beni per i bambini delle nostre società, ma abbiamo pensato di approfittare dell’interesse di queste due ragazzine di circa 12 anni per dire che in realtà papà noël ci ha già fatto il regalo più grande, perché ci ha regalato Gesù. Questa piccola catechesi su babbo Natale simbolo dell’amore paterno di Dio ha suscitato tutta una serie di domande su Gesù figlio di Dio o solo figlio di Maria? Sconcertante era la loro sete di sapere, la loro voglia di conoscere e di capire. Lo scambio è durato circa venti minuti nonostante il vento dell’Harmattan. Un solo dettaglio ci veniva poi in mente: quante ragazze e quanti ragazzi del Niger potranno avere la fortuna di incontrare “qualcuno” che si fermi sul loro cammino per raccontare dei doni veri del vero Babbo Natale, dei doni di cui il Corano non parla. L’ignoranza su Gesù è veramente totale, specialmente nei villaggi. Forse Dio aspetta che altri della chiesa italiana vengano in Niger anche approfittando del fatto che i missionari italiani non saranno confusi con gli eredi dei coloni francesi.

Don Domenico