martedì 15 luglio 2008

Due parole sul Niger, il paese più povero del mondo

Innanzitutto vale la pena ricordare che il Niger esiste! Anche durante il convegno a Tabor Hill (Kenya, novembre 2006), la maggior parte di coloro che ci chiedevano dove operiamo, identificava il Niger con la Nigeria.
Il Niger in ogni caso è un grande paese, quattro volte più grande dell’Italia. Tre quarti del territorio (desertico) è abitato da circa due milioni di persone. Nel quarto restante, un po’ più verdeggiante e nel quale si trova la nostra parrocchia, vivono i restanti 11.000.000 abitanti. Dal 2001 la chiesa del Niger è suddivisa in due diocesi (Niamey e Maradi) che però lavorano in grande spirito di collaborazione all’interno della conferenza episcopale Burkina-Niger. Le statistiche ufficiali nazionali dicono che la popolazione è musulmana al 98%, ma probabilmente la percentuale è più bassa, specialmente nella nostra regione ove si trovano ancora villaggi che resistono parzialmente all’islamizzazione. Secondo l’Enciclopedia Islamica (PISAI) si limitava a circa il 50% fino a alla seconda guerra mondiale.Per ironia della sorte, o meglio di Dio, mentre un missionario incominciava l’evangelizzazione dell’est partendo dalla Nigeria, il Signore preparava un altro missionario per l’estremo ovest: Antoine Duramane. Ufficiale dell’esercito francese, si avvicinava negli anni trenta al cappellano militare mentre era di stanza in Algeria. Là riceveva poi il battesimo e iniziava la sua testimonianza in patria con la sua gente: I Songhay. Oggi la chiesa cattolica nigerina, è composta da poco più di 15.000 cattolici, suddivisi in due diocesi; può disporre di circa 50 preti, dei quali solo tre autoctoni. Tutti gli altri appartengono alle due congregazioni missionarie più numerose, Redentoristi e Società missioni africane, a cui si sono affiancati i Padri Bianchi. Queste due ultime tendono a chiudere le loro comunità per invecchiamento del personale. In compenso fortunatamente sono presenti un nutrito numero di fidei donum composto in maggioranza da preti burkinabè, beninois cresciuti e incardinati in Niger, due preti nigeriani Ibo, noi due italiani, io, Domenico Arioli della diocesi di Lodi, insieme a Andrea Tenca, stessa diocesi e praticamente stessa parrocchia di provenienza; per ultimo un giovane prete francese.Alcuni segni di speranzaUna serie di fatti nuovi ci fa pensare e sperare di essere entrati, come dice san Paolo, in un Kayros, un tempo favorevole. Abbiamo spesso l’impressione che il Signore stia da tempo lavorando nei cuori dei fratelli che abitano il Niger, musulmani e non! Alcuni piccoli accenni:Il primo fra tutti riguarda il rapporto con i musulmani. C’è un clima di grande pace e rispetto sia da parte della gente che ci ha accolto sempre con grande simpatia. Ma c’è stima anche da parte dei capi religiosi, sia a livello locale che a livello nazionale! Qui gli esempi sarebbero veramente tanti e mi limito solo a qualche accenno, come quello della presenza dello Djermakoye (re e capo dei musulmani della regione) alla nostra installazione (entrata ufficiale) nella parrocchia, assieme con l’imam della gran moschea; le visite presso di lui che a volte si traducono in veri incontri spirituali.Il secondo concerne il Vescovo di Niamey. Per la prima volta, dopo settantacinque anni di presenza della chiesa cattolica, la notte del 24 dicembre 2004, mons Michel si è trovato pochi minuti prima della messa di mezzanotte la visita a sorpresa del segretario delle associazioni islamiche del Niger: chiedeva di poter porgergli gli auguri per la natività di Gesù. Ovviamente il vescovo era ben contento, ma fu ancora più sorpreso quando questi gli chiese se era possibile porgere gli auguri anche ai fedeli radunati in cattedrale. Fu così che dopo 75 anni in cui solo il vescovo e i missionari inviavano messaggi di vicinanza e di augurio in occasione delle feste musulmane, per la prima volta un loro rappresentante si esprimeva direttamente davanti alla televisione nazionale testimoniando simpatia e solidarietà nella gioia. Da quella sera è cosi a tutte le veglie di Natale e di Pasqua.Molto probabilmente a suscitare questo cambiamento di atteggiamento verso la chiesa aveva contribuito il lavoro indefesso del vescovo per ricucire il dialogo fra maggioranza e opposizione. Si era giunti al blocco totale del dialogo e probabilmente ad un passo da un colpo di stato, tanto facile nella storia del Niger. Il presidente della repubblica aveva chiesto un aiuto ai rappresentanti delle religioni in Niger. Cosi si formò un comitato, dei “testimoni della pace” di cui facevano parte i rappresentanti delle associazioni islamiche, il sultano di Agadez rappresentante dei capi tradizionali e infine il vescovo. Quello che aveva sbloccato la situazione era stato il gesto di umiltà del vescovo verso il capo della opposizione: voleva incontrarlo per un’ultima volta e chiedergli un incontro con i rappresentanti del governo. Questo andare in privato non si addice ad un “capo”, per di più in rappresentanza degli altri capi. Alla fine il vescovo ottenne il loro placet e il dialogo effettivamente riprese; negli incontri, a lui era lasciata la responsabilità della preghiera e della rappresentanza degli altri testimoni della pace.Questo patrimonio di stima da parte della società è ulteriormente aumentato nel corso dell’anno 2005 nel contesto della carestia. Quanto la chiesa ha fatto in tutto il Niger per la distribuzione dei viveri nelle zone più lontane ed abbandonate dalle ONG e dal Governo è stato notato dalle popolazioni e dai responsabili, non solo perché la distribuzione è avvenuta nella trasparenza, ma soprattutto perché è stata l’occasione per un rapporto di prossimità e di sostegno alle popolazioni più toccate.È all’interno di questi interventi che sono nati i primi contatti, la conoscenza, la stima e poi l’amicizia con tanta gente dei villaggi. Dall’intervento per l’aiuto e per lo sviluppo si è passati ad un tipo di contatto che tocca la questione religiosa, la questione della fede. In alcuni villaggi, accanto al granaio in terra battuta, la gente del villaggio ha voluto costruire anche una stanza per il prete. In altri non si è costruita la casa ma ci è stato chiesto insistentemente di restare con loro più giorni per poter parlare! Io non penso che si possa dire che vogliono diventare cristiani, questo no, ma penso che tutto questo riveli un loro forte desiderio di incontrarci e conoscerci nella nostra specificità di cristiani, di discepoli di Gesù. Essi sanno infatti che tutto quello che noi stiamo facendo per loro lo facciamo nel nome di Gesù e spesso si chiedono quale sia la differenza tra il nostro Gesù e il loro; ancora, perché noi diciamo che Gesù è il Figlio di Dio?Ma voglio raccontare soprattutto di un villaggio, piuttosto grande nel quale vive un ufficiale dell’esercito in pensione, ufficiale di un certo livello. Nel mese di ottobre 2005 voleva incontrarmi e presentarmi una lista di persone interessate a entrare nella chiesa. Temendo che si trattasse di un calcolo sull’onda della distribuzione dei viveri io non l’ho mai incontrato durante tutto l’anno. Finalmente ho accettato di incontrarlo nello scorso mese di settembre, insieme con d. Andrea. Siamo stati entrambi colpiti da questo uomo sui sessant’anni che dopo un travaglio spirituale iniziato una ventina di anni fa in seguito a incontri con alcuni cristiani, solitamente protestanti, ha deciso prima di informarsi attraverso la lettura del nuovo testamento; in seguito, ha deciso di lasciare la preghiera alla moschea e rompere, nonostante le obiezioni dei suoi fratelli, e finalmente di entrare nella chiesa per un cammino spirituale. Vedendolo abbandonare la preghiera ufficiale gli amici gli posero via tutta una serie di domande alle quali egli non si sottrasse mai: ora sono un centinaio che insieme con lui hanno dato il loro nome ed hanno voluto incontrarmi nella prima settimana di ottobre. Ci ritroveremo per Natale.Per concludere questo quadro sui segni di speranza aggiungo solo che recentemente un nostro collaboratore, sociologo di formazione, mi spiegava che ciò che maggiormente lo affascina della vita della chiesa è quello che noi chiamiamo la pastorale sociale, ma all’interno soprattutto la testimonianza della vita consacrata nel celibato di noi preti e delle suore. Sono questi aspetti che alimentano in lui il desiderio di farsi cristiano.La necessità di cambiare ritmo nella pastoraleIn seguito a tutte queste novità, stiamo facendo l’esperienza diretta della presenza di Dio e dell’opera dello Spirito. Lui arriva sempre prima di noi, ma ha comunque bisogno che qualcuno si faccia trovare sul posto per dare consistenza alla buona novella. Ci stiamo rendendo conto che dovrà cambiare anche il nostro ritmo di presenza nelle varie comunità. Dovremo dare sempre più spazio alla presenza nei villaggi affinché il primo annuncio possa arrivare e dopo essere stato fatto abbia un seguito. Vi chiediamo innanzitutto una preghiera che anche noi assicuriamo per tutti voi.Conclusioni Concludo con una piccola testimonianza. Nello scorso dicembre, ritornando a casa dopo la messa delle sette del mattino (in questo tempo l’Harmattan tiene in casa la gente in attesa di un po’ di calore solare) due ragazzine del nostro quartiere fermano me e Andrea sul sentiero che porta dalla chiesa a casa nostra: hanno voglia di parlare. La questione di partenza era la festa di fine anno (messa e danze), ma subito dopo è arrivata la seconda: perché Babbo Natale resta da voi e non viene mai da noi con i suoi regali?! Ovviamente la questione ci imbarazzava non poco pensando all’eccesso di beni per i bambini delle nostre società, ma abbiamo pensato di approfittare dell’interesse di queste due ragazzine di circa 12 anni per dire che in realtà papà noël ci ha già fatto il regalo più grande, perché ci ha regalato Gesù. Questa piccola catechesi su babbo Natale simbolo dell’amore paterno di Dio ha suscitato tutta una serie di domande su Gesù figlio di Dio o solo figlio di Maria? Sconcertante era la loro sete di sapere, la loro voglia di conoscere e di capire. Lo scambio è durato circa venti minuti nonostante il vento dell’Harmattan. Un solo dettaglio ci veniva poi in mente: quante ragazze e quanti ragazzi del Niger potranno avere la fortuna di incontrare “qualcuno” che si fermi sul loro cammino per raccontare dei doni veri del vero Babbo Natale, dei doni di cui il Corano non parla. L’ignoranza su Gesù è veramente totale, specialmente nei villaggi. Forse Dio aspetta che altri della chiesa italiana vengano in Niger anche approfittando del fatto che i missionari italiani non saranno confusi con gli eredi dei coloni francesi.

Don Domenico

2 commenti:

Anonimo ha detto...

E' un commento di prova... funzionerà?
Renato.

Anonimo ha detto...

Si ha funzionato :)